Arrivava l’inverno e con papà si andava alla cascina Teodora a Voghera a comprare i pulcini. per me era come andare a Disneyland. Entravo in questa cascina enorme e molto bella. Arrivava il proprietario che salutava mio papà, cliente da anni e poi chiamava una sua collaboratrice per prendere ordinazione. Con la solita raccomandazione di papà: mi raccomando lo scelga bene! Quello che sarebbe stato un incontro bellissimo da li a un po’ di mesi sarebbe diventato il sostentamento della nostra famiglia per tutto l’anno, ovvero i polli.

La signora tornava con un cartone pieno di pulcini, appena nati che pigolavano e intimoriti  si rannicchiavano stretti stretti uno accanto all’altro. Mio padre li guardava uno ad uno per vedere se andavano bene.
Io li accarezzavo, guardavo i loro piccoli occhi e ne sentivo l’odore di pulito e di mangime.

Poi papà chiedeva alla signora se ne aveva uno nero lui diceva: non ha un calimero da regalare a mia figlia? Allora se ne andava e tornava con un piccolo pulcino nero, tutto per me. Ero troppo felice.

Poi mettevamo il cartone in auto e tornavamo a casa. Ovviamente nelle curve si sentivano le zampette che scivolavano sul cartone per lo sballottamento ma papà cercava di andare piano per non spaventarli troppo. Lui amava molto gli animali a dispetto di quanto si possa pensare. Solo che la sopravvivenza in quegli anni veniva prima di tutto.

Arrivati a casa poggiava il cartone  su un tavolo, ne prendeva un altro pulito e ci metteva sotto alcuni fogli di  giornale in modo che si potessero cambiare e i pulcini stessero sempre al pulito. Poi  gli metteva accanto una lampada apposta per scaldarli, la temperatura doveva essere sempre intorno ai 29 gradi e la lasciava accesa tutto il giorno.

La lampada di solito rossa faceva un po’ da mamma per i pulcini oltreché a non farli morire tenendoli al caldo. Da un lato metteva un piccolo contenitore per bere e il mangime.

Quando nessuno li vedeva loro si sparpagliavano non stavano più rannicchiati. Io andavo sempre a trovarli, li prendevo in mano con cura, li accarezzavo e con la guancia sentivo la loro morbidezza. Lor mi guardavano ovviamente come fossi un mostro. Il mio calimero ovviamente era il preferito. Nero come la pece. Spuntava da quell’agglomerato di puntini gialli e soffici come una pietra preziosa. Quando davo loro da mangiare impazzivano di gioia. Ma dovevo anche pulirli ovviamente e non era proprio un piacere. A volte quando li prendevo in mano mi facevano pure la cacca. Ma noi di campagna siamo abituati quindi non ci facevo caso.

Crescevano in fretta e così mio papà li metteva nel pollaio. Erano polli felici posso dirlo. Il pollaio era molto grande e potevano razzolare a piacere. Cibo, acqua e pulizia.

Poi quando c’era bisogno quelli che un tempo erano pulcini diventati polli finivano ovviamente sulla nostra tavola. Io ovviamente dovevo aiutare mamma a spennarli e pulirli. Poi mamma li cucinava, era bravissima a cucinare e quindi la loro vita finiva nei nostri piatti. Compreso il mio calimero. Ma all’epoca non mi faceva tanto effetto ero una bambina, nata con quelle tradizioni non avrei mai potuto oppormi, non sapevo neanche cosa fosse.

Angela Megassini

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@angelamegassini

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